Prima di poter elencare i cinque giocatori che più mancano al mondo del basket, sono doverose alcune precisazioni. A partire dal fatto che non troverete Michael Jordan. Ma come? Il giocatore più forte della storia? Il più ricordato? Esatto, Jordan non ci sarà, anche se, certamente, manca al mondo del basket. Questo perché la nostalgia, che il dizionario indica come “sentimento malinconico che si prova nel rimpiangere cose e tempi ormai trascorsi o nel desiderare intensamente cose, luoghi e persone lontane”, non guarda solo al talento singolo ma ricorda anche le emozioni, le sensazioni che quella persona, quel posto, quella situazione hanno provocato. E quindi troverete nomi più famosi e nomi meno famosi, partendo sempre dal presupposto che, con soli cinque posti a disposizione, molti giocatori che mi portano il magone sono fuori da questa lista.
E che molti nomi che tra qualche anno rientreranno in questa lista sono ancora in campo a regalarci poesia: solo per fare qualche esempio, Basile, Spanoulis, Diamantidis, Nowitzki, Gasol. Andiamo oltre?

SARUNAS JASIKEVICIUS

“Vincere non basta”: è così che ha deciso di intitolare la sua biografia, scritta con il giornalista Pietro Scibetta. Perché Sarunas non solo vinceva tanto, ma lo faceva con uno stile, con una eleganza e con un talento difficilmente paragonabili. Il palmares è ricchissimo: 9 campionati nazionali, 10 coppe nazionali, 4 Eurolega, Oro agli Europei 2003 (chiusi da MVP della manifestazione), Bronzo a Sydney 2000 e agli Europei 2007. In più inserito per due volte nel miglior quintetto di Eurolega ed MVP di quest’ultima nella stagione 2004-2005. Per la sua nazione un simbolo, un esempio, essendo stato anche portabandiera a Pechino 2008. L’unico rimpianto? Due anni in NBA senza riuscire ad emergere. Forse meglio così, da questa parte dell’oceano l’abbiamo vissuto per davvero. Grazie Sarunas!

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TRACY MCGRADY

E’ l’esempio perfetto di giocatore fortissimo e nostalgico, anche se di trofei non ne ha portato a casa praticamente nessuno. Anzi, non è mai riuscito a superare il primo turno dei play-off NBA. Solo nell’ultima stagione della sua carriera, con i San Antonio Spurs, è arrivato ad un soffio dal titolo: peccato che in Texas avesse un ruolo molto marginale ed i garbate time con lui avevano un altro sapore. Ma con Toronto, Orlando e Houston gli sprazzi del suo talento sono stati abbacinanti: 1vs1 difficilmente marcabile, tecnica di tiro extra lusso e intelligenza cestistica comparabile a pochi. Cosa lo ha bloccato? Forse il carattere nei momenti che conta? Maggiormente gli infortuni che hanno bloccato sia lui che i suoi compagni di squadra (ad esempio Yao Ming). Ma come dimenticare l’incredibile schiacciata all’All Star Game 2002, quando lanciò la palla da dietro la linea dei 3 punti ed inchiodò facendo slalom tra gli increduli difensori? E chi non ha ancora nelle orecchie la voce di Flavio Tranquillo, estasiato con Federico Buffa dall’incredibile rimonta griffata da Tracy il 9 dicembre 2004 contro i San Antonio Spurs, con 13 punti in 35 secondi compreso il tiro della vittoria?
Le esperienze a New York, Detroit e Atlanta non hanno offuscato la nostra memoria. Grazie Tracy.

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DRAZEN PETROVIC

La storia più commovente da raccontare. Per farlo ci vorrebbe davvero tanto, cerchiamo di fare una sintesi esaustiva. Definito “il più grande giocatore europeo di sempre”, è partito da Sibenik ed ha mostrato subito il suo talento, segnando a raffica, in tutti i modi. Arrivato nel 1988 al Real, mandò in tilt la difesa della Juve Caserta in una storica finale ad Atene di Coppa delle Coppe chiusa al supplementare: Drazie arrivò a 62. Le sirene NBA arrivarono pronte: due anni a Portland, difficili. Se i giocatori europei adesso sono apprezzati lo dobbiamo a Petrovic: ha battuto i pregiudizi, ha dato a tutti un messaggio di speranza, ha aperto una nuova era della Lega più bella del mondo. Passato ai Nets, è diventato un giocatore All-Star. Ma è il capitolo nazionale il più intenso: negli ultimi anni della Jugoslavia unita vince tutto: Bronzo a Los Angeles e Oro a Seul 1988, Bronzo ai Mondiali ’86 in Spagna e Oro 4 anni dopo in Argentina, Bronzo agli Europei in Grecia nel 1987 e Oro a Belgrado due anni dopo. Poi, la guerra civile, Drazen gioca per la Croazia a Barcellona e ottiene un Argento storico. Nel frattempo, si era rotta la più grande amicizia, quella con lo slavo Vlade Divac (il documentario “Once Brothers”, prodotto da ESPN, è il documentario sportivo più intenso che ci sia), e la morte, avvenuta nei pressi di Colonia il 7 Giugno 1993. Il 7 Giugno, in Croazia, è ancora giornata di lutto nazionale.

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MAGIC JOHNSON

Ci sono stati bella storia del gioco giocatori forti, giocatori fortissimi e giocatori che hanno rivoluzionato il gioco: Earvin Johnson Jr., in arte Magic, ha in 10 anni regalato sprazzi di gioco entusiasmante, partite praticamente perfette e reso, diciamolo, il basket uno sport più bello. La NBA, in un momento di difficoltà, ha visto l’avvento di Johnson e di Bird come una ventata di aria nuova, con un duello sempre corretto e sempre tremendamente bello. Chi l’ha detto che il play-maker deve essere il giocatore più basso della squadra? 206 cm di altezza, poteva giocare in 5 ruoli diversi, aveva una visione di gioco senza eguali; i suoi Lakers sono ancora ricordati per il celebre “Showtime”, cioè quel momento di partita in cui si alzava l’intensità difensiva e poteva partire il treno Magic, che serviva ai compagni cioccolatini già scartati pronti da essere mangiati. Il 7 dicembre 1991 annunciò al mondo di aver contratto il virus dell’HIV, che lo portò praticamente a smettere la sua attività. Le parentesi però furono memorabili, come l’All-Star Game di Orlando 1992 e le Olimpiadi di Barcellona in cui aiutò il Dream Team ad essere ricordato come la squadra più forte di sempre. I trofei? Possiamo anche non parlare. Il perché l’hanno spiegato Flavio Tranquillo e Federico Buffa, a cui lasciamo la parola.

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OSCAR SCHMIDT

Per lui potrebbero anche parlare i numeri: 26 stagioni, 5 Olimpiadi consecutive, recordman di presenze, record di punti segnati alle olimpiadi (1093), punti segnati in un singolo incontro (55 contro la Spagna a Seul) e la media più alta in una singola edizione (sempre a Seul, 42,2 punti a partita); ma sopratutto, detiene il record mondiale assoluto di punti segnati in carriera, 49.737. Ma visto che il basket non è solo un gioco di numeri ma anche di sentimenti, gli anni di Oscar in Italia hanno lasciato un solco incolmabile: Mao Santa ha giocato 8 stagioni a Caserta, portato nel 1982 da Boscia Tanjevic; la storia è incredibile: Tanjevic allenava nel 1979 la Sarajevo campione d’Europa che in Brasile perse la coppa intercontinentale contro il Sirio guidato da Schmidt, il quale segnava e piangeva. A Caserta ovviamente continuò a mostrare il suo incredibile talento offensivo, portando la Juve a due finali scudetto ed a vincere, nel 1988, la Coppa Italia. E nella storica finale di Atene del 1989 lui c’era e ne mise 44. Nel 1990 la società decise a malincuore di lasciare il giusto spazio a Gentile ed Esposito, scegliendo di mandare via Oscar: la scelta fu così sofferta che la società ritirò la sua maglia numero 18. Dopo 3 anni a Pavia e due a Valladolid, tornò in Brasile per concludere la carriera. Il legame tra Oscar e Caserta è certificato: nel 2003 decise di giocare la partita d’addio al PalaMaggiò, a Caserta “O Rey” è religione ed è riconosciuto da tutti la causa per cui il basket e la Juve sono molto più di un semplice evento sportivo. Adesso sta lottando contro il male, un tumore al cervello, ma siamo sicuri che, con il suo sorriso, riuscirà a segnare anche questa tripla.

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