Tra le tante sorprese, conferme e delusioni, la Rugby World Cup 2015 passerà alla storia come l’edizione che ha consacrato le nazionali provenienti da sud dell’equatore. Per la prima volta nella storia del Mondiale di rugby tutte e quattro le semifinaliste provengono da un unico emisfero, e non è certo il nostro. Nelle sette edizioni finora disputate e concluse (dal 1987 al 2011) delle 28 squadre giunte alle semifinali, 15 erano dell’emisfero sud, 13 di quello nord. Un sostanziale equilibrio, verrebbe da dire, se tralasciassimo il fatto che solo una volta nel torneo si è imposta una nazionale proveniente da sopra l’equatore, l’Inghilterra nel 2003.

Mondiale a parte, un indice molto interessante è rappresentato dall’esito dei test match, ossia degli incontri “amichevoli” in cui si affrontano nazionali provenienti dall’emisfero nord contro nazionali provenienti dall’emisfero sud, in due sessioni annuali (giugno e novembre). Ebbene, dal 2008 ad oggi, il risultato complessivo è abbastanza impietoso: 82 vittorie per le nazioni SANZAR (South Africa New Zeland Australia), 2 pareggi e 13 vittorie per le europee. Prendendo in esame solo il periodo post Coppa del Mondo 2011, il bilancio degli incroci tra le cinque regine europee (Inghilterra, Francia, Irlanda, Galles, Scozia) e le tre del sud dice 37 vittorie per l’emisfero meridionale contro le appena 4 di quello settentrionale. Solo tornando indietro nel tempo, negli anni dal 1994 al 2000, la percentuale di vittorie è a favore delle nazionali europee (ben 56 vittorie su 74 partite). Dati alla mano, appare quindi evidente come il gap tra le due realtà rugbistiche si stia allargando sempre più ; le statistiche infatti testimoniano, in maniera anche abbastanza eloquente, un dato di fatto: l’emisfero sud domina realmente il mondo del rugby.
Il quadro in realtà è molto più complicato di quello che sembra e non esiste un’unica ragione che possa dirci in maniera esaustiva il perché di questa supremazia effettiva. Innanzitutto, un aspetto determinante che poche volte viene sottolineato è il calendario delle partite. Quello dell’emisfero sud appare molto meno “intasato” del nostro. Vi troviamo infatti la stagione di Super 15 da febbraio a fine luglio (con una piccola pausa per i test match di giugno), poi il Rugby Championship e infine si chiude con il tour di novembre in Europa. Sono mesi con trasferte senza dubbio più lunghe, ma è un calendario decisamente più lineare di quello europeo. Quest’ultimo infatti inizia a settembre e termina a maggio (a giugno per qualche squadra), in mezzo però ci sono i tornei nazionali, le coppe, i test match, il Sei Nazioni e i test estivi che si sovrappongono.

Ma la differenza fondamentale probabilmente è di tipo “culturale”, figlia di una diversa interpretazione del gioco. Nelle nazioni dell’emisfero sud (Australia e Nuova Zelanda in particolare) è l’abilità ad essere privilegiata, laddove la cura del fisico, al quale sono certamente dedicate moltissime attenzioni, riveste un ruolo secondario. Ovvero si tende ad individuare il talento e poi a strutturare la cornice corporea dei giocatori. Nel nostro emisfero invece, senza arrivare alla situazione italiana che estrema e oltremodo ridicola, si è pensato che la chiave della vittoria passi da un maniacale programma di allenamento della corporatura, per poter ottenere una sorta di superuomini ai quali poter soffiare poi l’alito della conoscenza rugbistica. Ma non è così.
Il fallimento dell’Europa, infatti, nasce da lì. Nasce da un rugby che non insegna più la qualità individuale, che si basa troppo sull’arrivo nei campionati nazionali dei campioni (o presunti tali) stranieri, che chiudono la porta ai talenti locali, che poi non vengono allenati a dovere. E così in semifinale ci arrivano Sud Africa, Nuova Zelanda, Argentina e Australia e, se non dovesse avvenire un cambiamento di rotta, state pur certi che alla fase finale della prossima edizione non si vedrà la Rugby World Cup, ma una versione ridotta del Rugby Championship.

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