Oggi, giorno in cui avrebbe compiuto 72 anni, vogliamo raccontarvi la storia di un uomo di provincia, di una bandiera, quelle che al giorno d’oggi nel calcio si sognano ancora, ma non esistono più. Lunghe leve, un piede un pò troppo grande per un calciatore, e la maglia numero 3 sulle spalle. Il nostro viaggio nella storia inizia da una chiesa, o meglio dall’oratorio di una chiesa, di un piccolo paese in provincia di Bergamo: Treviglio. Spostiamo le lancette indietro nel tempo di sessant’anni, tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, ed è proprio in quell’oratorio che nasce calcisticamente una leggenda del calcio italiano: Giacinto Facchetti.

“Mi volto e vedo un ragazzino alto, magro, che mi saluta e mi chiede come si fa a giocare a calcio. Gli risposi: l’attacco segna alla porta, e la difesa cerca di difenderla. E dopo un pò mi chiede se poteva giocare anche lui. Gli chiesi quanti anni aveva e mi rispose che aveva 12 anni. Ha sempre giocato in difesa, ma anche in quei tempi là scappava all’attacco a segnare. Quando i ragazzi facevano pari o dispari per fare le squadre, sceglievano sempre Giacinto, e gli avversari contrariati rispondevano sempre: Eh no Giacinto fa l’attacco, fa la difesa, vale tre”. Sono queste le parole di Arturo Bondioli, che all’epoca gestiva proprio quell’oratorio, rilasciate in un intervista del 2007, un anno dopo la scomparsa di Facchetti.

Il giocatore lombardo, lega il suo nome ai colori nerazzurri dell’Inter in maniera indelebile. Dopo pochi anni di calcio dilettantistico con la Trevigliese, viene infatti acquistato nel 1960 dalla società milanese, dove inizierà e concluderà la sua carriera professionistica nel 1978. Terzino fin dalla nascita, ma non azzardatevi a chiamarlo difensore: il giocatore di Treviglio rivoluzionerà il modo di intendere il ruolo. Facchetti è infatti considerato il primo terzino d’attacco della storia. Ben 634 presenze con la maglia dell’Inter condite dalla bellezza di 75 goal, due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali, quattro campionati ed una Coppa Italia. Sarà un punto fermo dei nerazzurri ma anche per la Nazionale con la quale vincerà l’Europeo del 1968.

Se dici Facchetti dici Helenio Herrera. Impossibile pensare ad uno dei due senza l’altro. Herrera fu il padre calcistico di Facchetti: lo scoprì nella Trevigliese, ed un anno dopo lo portò in prima squadra facendolo esordire alla prima convocazione, in un Roma-Inter del 1961 da cui i milanesi uscirono vincitori. Goleador inatteso, il giocatore lombardo scrisse presto il suo nome in tutte le prodezze degli anni d’oro della “grande Inter”. Subito dopo il ritiro avvenuto nel 1978, ebbe una breve parentesi da dirigente alla Nazionale e poi come vicepresidente dell’Atalanta. Il cuore però lo riportò presto all’Inter grazie anche a Massimo Moratti. Ricoprì tantissimi ruoli, dal direttore generale al direttore sportivo, vicepresidente e infine presidente dopo le dimissioni di Moratti.

Nel 2006 un tumore al pancreas lo colpì all’età di 64 anni e lo condusse fino alla morte pochi mesi dopo. In suo onore l’Inter ha deciso di ritirare la maglia numero 3. Nonostante qualcuno abbia senza prove provato ad infangare la sua immagine, coinvolgendolo post mortem nello scandalo calciopoli, Facchetti verrà sempre ricordato come un grande uomo, un professionista, uno sportivo nel vero senso della parola, un esempio di grande moralità e fair play. Tanti auguri Giacinto!

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